Da circa una decina di anni è divenuta di uso comune la valutazione del DNA fetale o NIPT (Non Invasive Prenatale Test), un esame tramite il quale si può stabilire con alto grado di sensibilità e specificità se il feto sia affetto da aneuploidie cromosomiche, cioè anomalie di numero dei cromosomi.
Già dalla 10a settimana di gravidanza nel sangue materno circola una quantità dosabile di DNA fetale libero. Tramite tecniche complesse è possibile isolare il DNA fetale dal DNA materno, e stabilire quindi se il materiale cromosomico isolato presenti delle anomalie quantitative per singolo cromosoma.
Ogni cellula di ogni persona umana sana ha un patrimonio genetico di 46 cromosomi, 23 di origine materna e 23 di origine paterna. 44 cromosomi sono detti autosomi, sono uguali nel maschio e nella femmina, mentre 2 sono cromosomi sessuali, XX nella femmina, XY nel maschio. Si differenziano quindi le anomalie autosomiche, che coinvolgono gli autosomi, e quelle legate al sesso, che coinvolgono i cromosomi sessuali.
La trisomia 21 (sindrome di Down), cioè la presenza di 3 anziché cromosomi 21, è l’aneuploidia cromosomica più frequente, dato che globalmente colpisce circa 1/700 nati a termine, ma aumenta con l’età arrivando a circa 1/55 a 40 anni. Si riscontra ritardo mentale di vario grado, frequentemente associato ad anomalie congenite.
La sindrome di Edwards (trisomia 18) e la sindrome di Patau (trisomia 13) hanno una frequenza rispettivamente di 1/6000 e 1/10.000. I bambini affetti presentano ritardo mentale e anomalie fisiche gravi.
Nella monosomia X (sindrome di Turner), vi è un solo cromosoma del sesso. Le bambine affette presentano bassa statura, mancanza di mestruazioni, in genere non vi è ritardo mentale.
Della sindrome di Klinefelter è affetto circa 1 maschio su 1000. Il quadro cromosomico è XXY, cioè c’è un cromosoma X in più. In genere i problemi fisici sono abbastanza lievi, spesso viene riscontrata solo facendo indagini per sterilità di coppia, dato che i portatori di questa anomalia sono infertili.
Ne deriva quindi che con l’esame del DNA fetale è possibile determinare molto precocemente (se i genitori lo desiderano) il sesso del feto.
Con l’esame del DNA fetale è anche possibile rilevare microdelezioni, cioè l’assenza di piccole porzioni di cromosomi. La più frequente microdelezione è la sindrome di DiGeorge (1/4.000 nati), che comporta anomalie facciali, cardiache, del sistema immunitario, e ritardo mentale di grado variabile.
Con l’esame del DNA fetale è inoltre possibile determinare quale sia il fattore Rh del feto, nel caso la mamma sia Rh negativa e il padre Rh positivo, evitando così la somministrazione di siero anti-D a 28 settimane se il feto risulta Rh negativo come la madre.
L’esame del DNA fetale rileva quindi con elevata accuratezza (>99%) e assenza di falsi postivi (<0,1%) le aneuploidie cromosomiche e alcune microdelezioni.
Si può inoltre indagare la presenza di malattie genetiche su base ereditaria (come fibrosi cistica, anemia mediterranea, anemia falciforme, sordità ereditaria) o non ereditaria che possono causare anomalie congenite multiple, dell’apparato scheletrico, del cuore e/o deficit e intellettivi.
L’esame è preceduto da un colloquio genetico con la finalità di spiegare il test, le sue possibilità diagnostiche. Il risultato è solitamente disponibile entro 7 giorni.
Se il test mette in evidenza delle anomalie è previsto un secondo colloquio genetico, e generalmente si ricorre ad un approfondimento diagnostico con villocentesi e amniocentesi, per essere sicuri al 100% della presenza dell’anomalia rilevata.